PICCOLE COSE COME QUESTE – SMALL THINGS LIKE THESE
Giovedì 28 novembre | 21.00 |
Venerdì 29 novembre | 18.30 21.00 |
Sabato 30 novembre | 18.00 21.00 |
Domenica 1 dicembre | 16.30 18.45 21.00 |
Lunedì 2 dicembre | 21.00 VERSIONE ORIGINALE SOTTOTITOLATA IN ITALIANO |
Martedì 3 dicembre | – |
Mercoledì 4 dicembre | 18.30 21.00 |
Nel sud dell’Irlanda, a metà degli anni ottanta, Bill Furlong è un venditore di carbone a cui serve una lunga sessione di pulizia con il sapone per togliersi di dosso il nero del mestiere quando torna a casa la sera. Lo fa con piacere prima di poter abbracciare le cinque figlie e la moglie, così come con piacere aiuta chiunque altro in paese, specialmente ora che è quasi Natale. Ma nel convento dove consegna il carbone Bill vede come le suore trattano le ragazze che hanno “in cura”, e un giorno cerca di soccorrerne una, Sarah, che gli ricorda molto la madre scomparsa quando era bambino.
Lo scandalo delle Case Magdalene, istituti religiosi in Irlanda che attraverso il secolo scorso sono stati teatro di abusi nei confronti di ragazze e giovani madri, ha già trovato esposizione cinematografica in film come Magdalene di Peter Mullan (Leone d’oro a Venezia) e Philomena di Frears. Ma nel 2021 il successo del romanzo breve di Claire Keegan “Small things like these” ha di nuovo attirato l’interesse del grande schermo, con Cillian Murphy in veste di produttore che nell’adattare la storia si ritaglia anche il ruolo di protagonista.
Al primo snodo di una nuova fase della sua carriera, quella del post-Oppenheimer, il magnetico attore irlandese sfrutta un po’ di quella visibilità globale per aiutare una piccola opera di straordinaria intimità e ammirevole precisione della messa in scena.
Non epopea di sopravvivenza attraverso gli anni per le vittime, né sguardo storico postumo sugli effetti della vicenda; la regia del belga Tim Mielants è un’essenziale parabola natalizia, che nella sua brevità coglie il profondo di un singolo istante: quello in cui una persona come tante si chiede se sia davvero possibile far finta di non vedere cosa accade nel convento in fondo alla strada del paese, in cui le ragazze sono tenute nascoste e trattate come prigioniere.
La persona in questione è il carbonaio Bill, un personaggio definito dalle superfici: quella ruvida del cuoio sulle spalle della sua giacca, spesso in primo piano con i solchi profondi scavati dalle sacche di carbone trasportate ogni giorno. E poi quella – per fortuna solubile – della polvere scura che si porta sempre addosso, con cui alla sera intraprende una personale guerra di trincea per impedirgli di fare breccia nell’idillio domestico con le adorate figlie.
Di momenti così è costellato il film, pieno di ritorni e ripetizioni sugli stessi luoghi, che danno un senso di grande economia del racconto e al tempo stesso di oppressione, perché Bill non sa togliersi dalla testa ciò che ha visto, nonostante tutti (compresa sua moglie) gli dicano di farsi gli affari propri e di non disturbare chi ha un potere così egemonico.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!